Ivi occorrono questi versi: [441]En fame a molt mauvès voisin;
Nis(1670) l’emperere Constentin
Ot de sa fame tel hontage,
Qu’el se coucha par son outrageAu(1671) nain de si laide figure,
Com le trueve en mainte escripture;
Et sachiez que ce n’est pas fable.
Era ben naturale sentirsi destare il prurito di rivendicare alla Francia un racconto, di cui il La Fontaine si era creduto in buona fede debitore all’Italia! Se il Jubinal cedette alla tentazione, non gliene daremo biasimo severo. I fatti nuovi seducono sempre; anche quando, invece di accarezzare, urtano la vanità nazionale. La colpa più grave fu dei posteriori, i quali, con una leggerezza poco scusabile, si affrettarono, come il cane della favola, a lasciar cadere di bocca la carne, per correr dietro all’ombra. Buon per lei se fosse rimasta nera ombra, ossia se la storia non fosse conosciuta se non per via delle poche e scarne allusioni nelle letterature d’oïl(1672) e d’oc.(1673) Ma così non è; e un riflesso straniero ce ne dà conto in modo diffuso.
[442] Nel Weltbuch di Jans Enenkel, compilazione tedesca del secolo XIII, si racconta come l’imperatore Costantino avesse una moglie, la quale non vedeva di mal occhio i giovanotti.(1674) Nel palazzo, in una povera cameruccia, sotto una scala, abitava uno storpio, fratello d’un segretario imperiale. Costui osa richiedere d’amore l’imperatrice; ed essa gli si abbandona. La tresca dura un pezzo tra loro, finché alla fine è risaputa e denunziata al marito. Costantino sorprende i due colpevoli; svergogna la donna, che s’è concessa ad una creatura così sozza, e colla spada la passa da parte a parte; quanto allo storpio, lo calpesta sotto i piedi del cavallo.
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