(1677) Eccone un riassunto.
Siamo a Napoli, e al tempo di re Manfredi, alla corte del quale si trova un cavaliere di nome «Astulfo», marito di una donna bellissima, che col suo amore gli ha dato, ricevendone il ricambio, un «secondo paradiso». Sennonché a costei accade d’invaghirsi di uno scudiero, che essa conduce a soddisfare il suo desiderio. Un giorno Astulfo capita improvvisamente dalla corte a casa e trova la moglie coricata col drudo. Costui fugge; alla donna il marito, «come savio», si contenta di dichiarare che mai non la riammetterà in grazia finché non senta di lei cosa «che sia bastevole al fallo fatto». E torna quindi alla corte, col proposito di non venirsene più alla moglie. Re Manfredi, vedendolo tutto malinconico, lo interroga replicatamente, senza poter cavare da lui altro che pretesti. Alcuni mesi dopo, durando sempre la malinconia, accade che, mentre Astulfo se ne sta un giorno colla testa in subbuglio in un loggiato della sua camera, s’offra a’ suoi sguardi un miserabile sciancato, costretto a trascinarsi colle natiche «innel catino»,(1678) che s’accosta all’uscio del palazzo della regina [444] Fiammetta, moglie di Manfredi, e prende a bussare colla gruccia. Dopo molto picchiare, ecco la regina venire ad aprirgli. E colui, irritato per l’indugio, le scaglia la gruccia, cogliendola nel petto. Ella si scusa; tira dentro lo sciancato, gli toglie il «catino», e lì nello spazzo gli si concede. Quindi, racconciatogli il catino e ristoratolo con ghiottornie, lo rimette fuori.
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