A quello spettacolo Astulfo, fatto il confronto col caso proprio, si riconforta, trovandosi meno sfortunato; e venuto nella deliberazione di darsi buon tempo, va tra i cortigiani a ballare e cantare. Meravigliato del subitaneo mutamento, il re tanto lo stringe, che lo induce a svelargli ogni cosa. E Astulfo non solo gli narra, ma, ponendosi alle vedette, rende poi spettatore lui stesso della sua onta, che si rinnova colle circostanze medesime, compresi i maltrattamenti alla regina. Manfredi allora forma e manifesta il proposito di andarsene con lui per il mondo, sconosciuti e senz’altra compagnia, «fine che qualche avventura non ci viene alle mani che ci faccia certi del nostro ritorno.» Astulfo è ben contento: partono dunque di nascosto con molto danaro, e arrivano in Toscana. Un giorno che, essendo in via da San Miniato a Lucca, si riposano all’ombra in un luogo ameno presso un’acqua (s’era di luglio), vedono venire di verso Lucca un cotale, carico di una cassa grande e assai pesa. Quando è vicino, vanno a nascondersi in un boschetto. Il viandante si ferma dove s’eran prima fermati loro, posa la cassa e l’apre con una chiave. Ne esce una bellissima giovane, che il portatore si fa sedere accanto, e che con lui mangia e beve. Mangiato che hanno, egli le posa il capo in grembo e s’addormenta. Sentendolo russare, Manfredi e Astulfo s’accostano alquanto, e con cenni invitan la donna, che, sostituito pian piano un fiasco a sé medesima sotto il capo del dormiente, va a sollazzarsi con loro.
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