Al modo stesso come nelle Mille e una Notte, la scena obbrobriosa accade all’aperto, e Astulfo prima, indi il re, ne son spettatori da una vista Del gran palagio, non già da una fessura, che permetta di penetrar collo sguardo nella stanza più segreta della regina (Fur., st. 33 sgg.). La condizione poi che Manfredi mette al ritorno, per quanto indeterminatamente espressa, trova assai miglior riscontro nella narrazione araba che nell’ariostea.(1679) Non è né punto né poco col proposito di rifarsi ad usura sugli altri mariti e di ritornarsene soltanto quando si sia conseguito un numero sterminato di trofei (Fur., st. 45-46), che i due compagni si pongono in viaggio. Ma dove l’affinità si manifesta così aperta che nulla più, è nell’episodio che mette fine più o meno presto alla [446] peregrinazione. Mentre al caso del «Ginni», o genio, e della donna chiusa nella cassa e nondimeno infedele un’infinità di volte, troviam surrogata presso l’Ariosto la storia di Fiammetta, quel caso, in una forma prettamente umana, noi lo abbiamo nel racconto del Sercambi con particolari simili assai. Per richiamar l’attenzione anche su rapporti meno esposti alla vista, pregherò il lettore di porre mente all’anello che Manfredi dona alla donna, superstite, par bene, di quella gran collezione, che la prigioniera del Ginni ha saputo mettere insieme, e che arricchisce con quelli di Sciahrijàr e Sciahzemàn. E non tacerò nemmeno come la condizione in cui la moglie italiana è tenuta in Siena dal marito, sebbene resulti da contaminazione con un racconto e un motivo straordinariamente divulgato, per il quale mi basterà di rinviare all’«Inclusa» dei Sette Savi e ai suoi tanti illustratori, ha pur sempre analogia col tenere che il mostro fa per solito la cassa nel profondo del mare.
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