Si pensi intorno a ciò come si voglia, siffatto modo d’impostare l’azione non vorrà attribuirsi all’Ariosto. La fedeltà agli esemplari di cui nella prima parte della narrazione il poeta dà prova colle strette somiglianze che lo ravvicinano ivi alle Mille e una Notte,(1695) costituisce già un argomento generico di molto peso. Uno specifico ci viene dall’Ungheria.
Tra le novelle raccolte modernamente colà nella tradizione popolare, n’è una,(1696) la quale ci narra di un uomo, così bello, da non esserci al mondo chi gli si potesse paragonare. Ne correvano per il paese i ritratti, coll’indicazione del nome suo e del luogo di dimora. La regina, a cui ne viene uno sott’occhio, dice al re, di non poter credere che bellezza così meravigliosa esista realmente; e il re spaccia subito due messi, perché gli abbian da condurre a ogni patto quell’uomo. - I messi vanno; e il bellissimo non si fa punto pregare a seguirli; ma per la strada s’accorge d’aver scordato un libro contenente preghiere, la recitazione giornaliera delle quali egli crede indispensabile alla conservazione della sua bellezza. Torna addietro, e vede la moglie in colloquio ben famigliare con un giovincello meschino. Il dolore lo fa diventare giallo come cera. Vorrebbe restar a casa, se gli fosse lecito. Poiché non è, parte col libro e va alla corte. - Il re lo trova bello; ma non [452] davvero quanto i ritratti lo facevano. Egli allora s’impegna a mostrarsi in tre giorni quale era rappresentato, se gli è data una camera solitaria.
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