Qui il ciclo carolingio e i romanzi della Tavola Rotonda si danno la mano: si fanno romiti Bordo, Astor di Mare, Lancilotto; ma al pari di loro Guglielmo au Court Nez. Buovo, [457] Malagigi, e non so quanti altri. Sennonché Rodomonte se ne sta a smaltire l’affanno dell’animo, non già a macerare il corpo.
In questa sua solitudine gli abbiamo a guidare una compagna. L’andremo a prendere lontano assai: fin nel canto XXIV, dove, se ben si rammenta,(1706) si vide Zerbino combattere con fortuna avversa contro Mandricardo, in difesa della spada d’Orlando. La pietosa morte del principe scozzese accanto alla sua afflitta Isabella (XXIV, 75-87) è adornata dal poeta con un’arte squisita, e che solo pecca un pochino di troppa raffinatezza.(1707) La situazione si presenta molte volte: è frequente il caso di cavalieri erranti, che andandosene per il mondo in compagnia di un’amica, siano feriti a morte, e spirino loro dappresso, lasciandole affrante dal dolore. Non conoscendo io, e forse non esistendo neppure, un modello che l’Ariosto abbia qui imitato risolutamente, ogni esempio può tornar buono. Basti dunque citare dal Palamedès (f.o 259)(1708) la fine infelice di un cugino di Ariohan. Col pretesto della difesa di un debole, egli è tratto in un agguato. Malamente ferito, ritorna dove aveva dato ritrovo ad una sua donzella, scende a terra, e poco dopo muore. Ma cotali scene non sono mai colorite con finezza: alcune pennellate convenzionali, e basta. Una morte veramente patetica è quella di Tristano e d’Isotta, nella quale le circostanze non hanno che fare colle nostre.
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