At illa decipiens eum, dixit: Si relinquas me, ego unguentum [463] tibi dabo, quo qui ungitur, nullam in eum vim habet gladius. Respondit ille: Atque unde hujus ego rei veritatem cognoscam? - Periculum, ait illa, in me facies; ego inungar: tu autem me gladio percuties. Merwan sincere haec dici est ratus, et puella, sumpto unguento, se unxit; atque ille, extracto gladio, eam percussit, et caput ei abscidit. Unde cognovit maluisse eam mori, quam pati ut corpus suum adulterio pollueretur. Quam ille rem admiratus est.»
Mi è piaciuto di far conoscere le vicende di questo racconto, sebbene per lo stretto bisogno delle fonti ariostee il De re uxoria bastasse. Ché di là e non d’altronde Lodovico prese la sua narrazione.(1729) Il nostro poeta ha amplificato; ciò che nel Barbaro era un semplice schizzo, diventa una pittura finita. Il confronto può fornire opportunità di osservazione feconda a chi ama studiare con metodo positivo le doti e la maniera d’uno scrittore. Circostanze veramente nuove, l’Ariosto ne aggiunge una sola: l’ubbriachezza di Rodomonte (st. 21-22). L’intenzione di rendere con ciò più verosimile il fatto, appare manifesta.(1730) A me questa giunta sembra un inutile rincalzo. L’episodio non pecca per inverosimiglianza; in un poema cavalleresco si potevano narrare senza scrupolo cose assai meno credibili. L’errore, come altrove accennai,(1731) sta nell’averlo applicato a Rodomonte, travisando il carattere di questo personaggio, e distruggendo la dote sua più spiccata: l’arditezza sconfinatamente superba e fidente in sé medesima.
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