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      Ja certes ne seroit si dure, q’après le grant destruiement qe je feroie de moi meesmes, et por li, q’ele ne me plainsist encore.»(1790)
      Mettendosi in viaggio, Bradamante prende seco la lancia d’oro (XXXII, 48) consegnatale da Astolfo (XXIII, 15). Ai lettori dell’Innamorato non c’è bisogno di far conoscere cosa sia [478] questa lancia. Invece non sarà superfluo il dire che nemmeno il Boiardo ne è l’inventore. Qualcosa di simile vagheggiava, probabilmente non per un’idea sua propria, il trovatore «En Guigó» - forse «de Cabanas» -, che a non so qual Bernardo chiedeva, cosa avrebbe preferito: se un mantello cosiffatto, che donna alcuna non gli potesse in nulla dire di no,
      o una lansa dura ab fer trencan(1791),
      que ab cavallier pro d’armas ni prezan(1792)
      nous encontre[tz](1793) que derrocatz(1794) non sia.(1795)
      E molto tempo prima della venuta dell’Argalìa alla corte di Carlo, i romanzieri della Tavola Rotonda avevano mandato un loro Lasancis alla corte di Arturo con un’arma di uguale virtù, datagli da una sorella incantatrice.(1796) Non è d’oro: ecco tutta la differenza. E le lance incantate seppero insinuarsi presso di noi anche nel ciclo carolingio, sicché ne troviamo - sebbene senza poi vederne effetti meravigliosi -(1797) tra le mani di Rubione nel sesto libro delle Storie di Rinaldo,(1798) e in quelle di Antea sì nell’Orlando che nel Morgante.(1799) Con tutto ciò il Boiardo ha introdotto una novità di grande importanza: chi dopo l’Argalìa viene in possesso della lancia, non ne conosce la virtù, sicché attribuisce a prodezza sua propria ciò che avviene per forza d’incanto.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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