Potrei tirare innanzi, e rammentare Ferraù nella Spagna (II, 39), il demonio Calcabrino nel Mambriano (XLIV, 95), la regina Antea, femmina guerriera pur essa come la nostra Bradamante, nell’Orlando e nel Morgante,(1932) e così di seguito, non so quanti altri esempi. Ne conchiudo qui che s’ha a fare con un luogo comune dei romanzi cavallereschi. Eppure questa parte del poema riesce tutt’altro che volgare. L’Ariosto seppe animarla con un vivo soffio di passione. La situazione è piena di contrasti, e per conseguenza d’interesse: Bradamante, innamorata, e che per geloso dispetto viene a sfidare il suo proprio amante; Ruggiero, innocente, se mai si può essere, e costretto, senza sapere il perché, a difendere la vita contro colei ch’egli adora; là un’inviperita battaglia di femmine; qui, alle mani tra di loro un fratello ed una sorella, ignari della comunanza del sangue. A tanto scompiglio mette riparo un deus ex machina, e i nemici di dianzi s’abbracciano con effusione d’affetto. Come si vede, è una specie di dramma, che qui ci si rappresenta: chiamiamolo anzi commedia, poiché è lieta la catastrofe, ottenuta col solito espediente dell’agnizione. La condotta è veramente ammirabile; le passioni trattate come meglio non si poteva; insomma, considerando bene tutta questa parte, è pur da conchiudere, che l’Ariosto era un ingegno eminentemente drammatico.
Premetto queste considerazioni comprensive perché le osservazioni analitiche riusciranno scarse, e non darebbero un’idea giusta dell’insieme.
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