Antonio può aver adempiuto l’ufficio di semplice trascrittore. All’ipotesi che il codice sia propriamente autografo suscita difficoltà la strana inconsistenza nella grafia de’ nomi proprî; e non essa soltanto. Insomma, il problema mi rimane per ora di dubbia soluzione; donde la conseguenza che, nelle condizioni attuali, la cronologia sia uno strumento male adoperabile. Che se da essa ci volgiamo a raffrontare le cose narrateci, per una parte dall’Innamorato, per l’altra dal romanzo prosaico, non ci si trova, per verità, a miglior partito. Conformità se ne vedono di certo anche nei fatti che noi non conosciamo da altre storie: i due gemelli divisi; il maschio curato da persona, - uomo o donna, [516] non monta - intendente di negromanzia; la femmina, divenuta un’amazzone di prima forza. Sennonché, come si fa a dire che tutto questo, e dell’altro ancora, non si contenesse anche nel testo noto ad Andrea da Barberino? Ché l’Aquilante e Formosa, nessuno penserà nemmeno per ombra a riportarlo al secolo XIV. Esso (lasciamo stare la pretesa sua, stretta parente dei soliti richiami a Turpino, d’essere traduzione.... dall’inglese!) dovette appunto prendere come fondamento una versione più antica. Con tutto ciò una ragione, fragile, pur troppo, come una bollicina di vetro, m’inclinerebbe un pochino ad attribuire al Conte di Scandiano la conoscenza del nostro romanzo. Il nome di Marfisa, non offertomisi mai fino ad ora prima dell’Innamorato, potrebbe spiegarsi come una capricciosa metatesi di Formosa.
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