In ciò l’Ariosto consente con Luciano. Questi pure ci trasporta spesso alle regioni superne od inferne, sempre avendo di mira la terra e la razza mortale. Ma il consenso viene da analogia d’ingegno e di tendenze, anziché da imitazione. Però i mezzi di cui si vale il nostro poeta, non hanno somiglianza con quelli messi in opera dallo scrittore greco.
Lodovico ricorre un’altra volta all’allegoria, di cui aveva fatto così largo uso nell’episodio di Alcina. Partendo dall’immaginazione di certi filosofi, che tutto quanto avviene sulla terra abbia una corrispondenza nel cielo (XXXV, 18), ci descrive le cose di lassù per rappresentarci in esse i fatti degli uomini. Gli è dunque un riflesso della realtà che ci si viene qui a metter dinanzi; ma un riflesso simbolico, che ne pone a nudo la natura e il valore intrinseco. Sicché lo studio del poeta consiste nel trovare simboli che possano essere ad un tempo immagine e satira. Parecchi gli sono suggeriti da metafore d’uso comune. Quanto al senno, egli si contenta di concretarcelo, senza proprio ridurlo ad un’espressione allegorica (st. 82-87).
[547] Alle allegorie spicciolate, ne segue una più vasta e complessa, che ci rappresenta la vita umana (XXXIV, 87-92; XXXV, 3-30). Vi si insiste particolarmente sulla fugacità del nostro vivere, e si fanno arbitri i poeti dell’immortalità del nome. Donde gli elementi, ognuno vede: le fila, le Parche, il Tempo, il fiume dell’oblio, il tempio dell’immortalità; ma la composizione appartiene incontestabilmente a Lodovico.
| |
Ariosto Luciano Alcina Parche Lodovico
|