(2238)
Per opera dell’Ariosto, il corno brettone viene ad esser posto tra le mani di un paladino di Carlo. Il ciclo carolingio [579] non si può dire che gli sia nuovo del tutto. Ché sembra da considerare come un suo riflesso l’hanap dell’Huon de Bordeaux:(2239) romanzo che, sotto certi rispetti, precorre i nostri massimi poemi cavallereschi. Questo nappo si riempie di vino nelle mani di un uomo immacolato; e una proprietà molto simile abbiamo trovato nel corno del Perceval.
Ed ora, volendo lasciare quest’argomento, rammentiamoci che il corno e il mantello fanno parte di una famiglia assai numerosa, la quale conta nel suo seno anche più di una loro propaggine. Non si erra di certo, riguardando come tali la ghirlanda e la spada dell’Amadís (l. II, cap. XIII). Invece ha origini ben più lontane la rosa del Perceforest,(2240) che ritroviamo sotto la forma di un loto nella patria di tante invenzioni, la remotissima India,(2241) e come mazzo di rose già nella Persia.(2242) Trasmutato in camicia, con una metamorfosi più singolare di tutte quelle registrate da Ovidio, il fiore ci appare nei Gesta Romanorum (cap. LXIX). Ma a me non giova ripetere qui un’enumerazione, che si può trovare in parecchi autori.(2243) Solo voglio menzionare qualche esempio dell’antichità, affinché il nostro sguardo spazi largamente. Presso Achille Tazio (VIII, 6), la castità si prova in una grotta di Diana, dove la presenza di una vergine desta una musica soavissima; e simili esperimenti, o per mezzo del fuoco (ELIODORO, X, 8), o d’altro, sono famigliari ai romanzieri greci.
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