Il racconto è un risarcimento offerto al sesso femminile per lo sfregio del nappo incantato. Ha dunque, in certo modo, lo scopo della morte d’Isabella dopo la storia di Giocondo.(2249) Qui si viene a mostrare che Iliacos intra muros peccatur et extra; uomini e donne possono ben darsi la mano, e se a vicenda vorranno perdonarsi, la magnanimità maggiore non sarà forse dalla parte dei primi. Messo alla prova, il sesso forte si rivela spesso il più debole o meno scusabile. In sostanza veniamo a vedere qui rinnovato il caso della moglie dell’ospite, aggiuntavi la dimostrazione di fatto del pensiero che già Rinaldo aveva espresso:
Se te altretanto avesse ella tentato,
Non so se tu più saldo fossi stato.
(XLIII, 49.)
E invero, tra la storia esaminata e quella che dobbiamo studiare adesso, vi sono rapporti ben più stretti che non si pensi. Entrambe sono trasformazione delle avventure li Cefalo e Procri: l’una, della sola prima parte; quest’altra, della prima e della seconda insieme. Naturalmente, non si potevano ripetere le stesse cose; quindi il poeta s’è dato con ogni studio a tramutare e ad arricchire i casi già imitati una volta: e la metamorfosi è riuscita così piena, che neppure si riconoscerebbe più il punto di partenza, se non fossero le somiglianze della seconda parte.
Di questa (XLIII, 129-43) è molto facile render conto: basta mettere sotto gli occhi il fatto di Cefalo, quale ci è narrato dai mitografi, e più specialmente da Igino (Fab. 189).(2250) Procri ha lasciato il marito, e se n’è tornata alla sua Dea: «Diana, misericordia tacta, dat ei jaculum, quod nemo evitare [582] posset, et canem Laelapem, quem nulla fera effugere posset,(2251) et jubet eam ire et cum Cephalo contendere.
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