Ea, capillis demptis, juvenili habitu ad Cephalum venit eumque provocavit: quem in venatione superavit. Cephalus, ut vidit tantam potentiam canis atque jaculi esse, petit ab hospite, non existimans conjugem suam esse, ut sibi jaculum et canem venderet:(2252) illa negare coepit; regni quoque partem pollicetur: illa negat. Sed si utique, ait, perstas id possidere, da mihi id quod pueri solent dare. Ille, amore jaculi et canis incensus, promisit se daturum.(2253) Qui cum in thalamos venissent, Procris tunicam levavit, et ostendit se foeminam esse et conjugem illius: cum qua Cephalus, muneribus acceptis, redit in gratiam.»(2254)
Posso qui risparmiare i commenti; solo, s’avverta bene quell’orribile Etiope, introdotto evidentemente per aggravare sempre più la colpa del marito, a totale beneficio del sesso femminile. Esso vien come a far riscontro al nano della novella di Giocondo.
Ben altrimenti complessa è la struttura della prima parte. Della forma originaria, resta specialmente la seduzione della moglie per forza di doni. La novità fondamentale consiste nell’aver distinto il tentatore dal marito. Ma si badi: già nella storia dell’ospite s’era introdotto un amante poco fortunato, di cui il malaccorto sposo assumeva le forme. Qui costui si conserva; solo, si procede ancora d’un passo: ciò che prima era apparenza, diventa realtà, e chi si presenta alla donna è l’amante in persona. Posta una tale differenza, ne viene la necessità che il marito risappia da altri ciò che è accaduto lui assente; i servi, si sa bene, ci sono appunto per servire da spie.
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