(2265)
Partendo dalla patria, Adonio salva una serpe, che un villano voleva uccidere (st. 77-80). La serpe è una fata. Al ritorno del suo liberatore, essa gli si mostrerà in ben altra forma, e lo ricompenserà largamente del beneficio (st. 95 sgg.). L’episodio ci trasporta nei dominî del mito: un paese pieno di seduzioni e di allucinazioni, che traviano anche il viaggiatore più cauto. Fate e donzelle(2266) si celano spesso sotto spoglie di rettili presso tutti i popoli indo-europei. Mi limiterò a menzionare la figliuola d’Ippocrate, presso il Mandavilla (cap. IV) e nel Tirante (VII, 53-56), la Beatrice del Carduino (II, 54-55, 61-64) colla sua ascendenza e parentela, la Pulzella Gaia del poemetto che s’intitola da lei,(2267) la Febosilla dell’Innamorato (II, XXVI, 7). Gaia e Febosilla appartengono, come Manto, alla categoria delle fate. E vi appartiene anche la Sibilla di Norcia, che con tutta la sua corte, come narra il Guerrino (V, 11), è condannata al termine di ogni settimana a prender forme schifose. Credo sia specialmente di qui che Lodovico ritrasse quanto ci viene a dire della fatale condizione che grava, secondo lui, sopra tutte le fate (st. 98-102).(2268) Abbastanza [587] probabile che l’Ariosto abbia altresì avuto conoscenza della storia di Melusina: fata attenuata, se così posso dire, condannata ancor essa a diventar serpe ogni sabato dalla madre sua propria fino a che s’avverassero certe condizioni.(2269) Questa storia era già stata divulgata per le stampe, e in francese, e in una traduzione spagnuola; e riferendosi alle origini della famiglia dei Lusignano, avrà bene suscitato l’interesse di Caterina Cornaro, e poco o tanto, per conseguenza, anche di quei molti che erano stati famigliari e frequentatori della sua corte di Asolo.
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