De, non combatter meco in su la sella!
Considra(2293) quanto sia il gran periglio.
E’ dolmi di ferirte, o fresco giglio.
Beninteso, non gli riesce di persuaderla. E il pericolo grave non è per lei, bensì per lui, che, dopo gran combattere, cade a terra con manco un braccio ed una spalla, e ricusato il battesimo, esala l’anima. A Bradiamonte è fatta gran festa. I Pagani potrebbero partirsene tranquilli. Nossignori: vogliono battagliare, e così tornano poi in Africa ventimila, ossia un quinto soltanto di quelli ch’erano alla venuta.
Non so determinare quando sia stato composto il poemetto. Testi a penna, non ne conosco. Ma se anche la composizione fosse coeva alla stampa, s’avrebbe modo e dovere di risalire più addietro. Ché nel Guidon Selvaggio,(2294) conservatosi in un manoscritto forse non posteriore alla prima metà del quattrocento e tutt’altro che originario, le nozze di Bradiamonte sono già vincolate alla nota condizione. Infatti la donzella, desiderosa di provarsi con Guidone che le pare di lei innamorato, [596] gli dichiara che si difenderà a suo potere: vinta, consentirà a divenirgli moglie. E l’indomani, venuta in campo, gli ricorda di nuovo la cosa:
. . . . . . Fa che tu sia ardito,
Se tu ài disio d’essere mio marito.
Guidon rispose innanzi a sua visiera:
Madon[n]a, io ho intesa tua novella.
Or te rispondo per cotal maniera,
E fòtte chiara con [la] mia favella,
Ch’io non te voglio già per mia mogliera.
Se natura t’à fatta forte e bella,
Se tu sei rosa, io me tengo fiore,
E proverò de difender mio honore.
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