Ma Thanor, ritornato ne’ suoi stati, scopre chi è il suo salvatore, e certo che se vedrà la moglie la rivorrà, lo bandisce.
Sadoc parte afflitto di tanta ingratitudine, e senza avvedersene, capita in Leonois. Quando se ne accorge, gli s’accresce l’affanno: se lo ravvisano, sarà fatto morire, per vendetta dell’aver impedito la conquista della Cornovaglia. Infatti uno scudiere, sorprendendolo addormentato ad una fonte, sta per ucciderlo; sennonché un compagno lo dissuade, e insieme prendono il partito di avvertire il re, che si trova lì presso. Pelyas, ben lungi dall’odiare Sadoc, lo ama di tutto cuore e vivissimamente desidera di averlo compagno. Però ne fa subito cercare e ne cerca, ed è dolente al sommo che più non si riesca a rintracciarlo. Ché Sadoc, avendo sentito le ultime parole degli scudieri, s’era prontamente dato alla fuga. Riparatosi in Albine, la città favorita di Pelyas, passa la notte in un tempio, e l’indomani è preso come reo di un doppio omicidio commesso vicino a lui. Lo conducono al petrone su cui si espongono per tre giorni i condannati a morte. Ve lo vede Pelyas; e non gli essendo permesso dalle leggi di camparlo, soffre inesprimibilmente. Un giovinetto suo figlio, saputa la causa dell’afflizione, va ad uccidere il giudice, e così è posto egli pure sul petrone dei condannati. Luce - tale è il nome di questo generoso -, non sapendo in qual modo confortare Sadoc, ha voluto se non altro fargli compagnia. Ora gli statuti danno al re il diritto di liberare uno dei due.
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