Lo stesso Speroni grida e strepita contro Lodovico come contro un usurpatore della gloria del Boiardo;(2336) ma non fiata per nulla sull’episodio di Cloridano o di Olimpia. Il solo Castelvetro, nella seconda metà del secolo, fa dissonanza nel coro, e, con quanta voce ha in gola, grida: al ladro: al ladro!(2337) Sennonché si rabbonisce poi tutto, quando, dietro l’analogia dell’anacronismo della Poetica aristotelica, gli cade in mente di immaginare un’altra figura, l’anaprosopismo, la [612] quale sancirebbe il diritto di trasferire i fatti da persona a persona.(2338) Bisogna ch’io venga fino al secolo XVII, fino al Nisiely,(2339) per trovare un critico, che, senza disdirsi mai, rinfacci all’Ariosto la lunga serie delle sue derivazioni, e termini per rassomigliarcelo alla cornacchia della favola. Quindi, per parte mia, conchiudo, che se Messer Lodovico avesse inventato da sé il moltissimo che ebbe da altri, alla corona della sua gloria se ne aggiungerebbe più che una foglia d’alloro. Se non l’ha fatto, se così spesso ha preferito di prendere, non perciò la sua condotta ha nulla che possa meritar biasimo. Egli vuol soprattutto parlarci il linguaggio dell’arte; come ce lo parli, il comune consenso lo dice da secoli: con qual diritto gli domanderemmo di usare una lingua che non è la sua? con qual diritto pretenderemmo che lui, italiano del cinquecento, vivesse secondo la legge d’altri tempi e d’altri luoghi?
Del resto, son trascinato a parlare così perché nel Furioso non c’è tanta invenzione quanta generalmente si pensava; ma sottratto tutto quello che si può sottrarre, il molto che s’è rilevato e ciò che ulteriori ricerche verranno ancora ad aggiungere, all’Ariosto resterà sempre anche in questo campo una parte ben grande.
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