Se si accetta questa ipotesi, potremo forse spiegarci il significato di una lettera scherzosa che Ludovico Ariosto [677] - secondo quel mattacchione del Doni - avrebbe scritto dai Campi Elisi al cardinale Ippolito d’Este. In questa epistola l’Ariosto si lamenta che la morte gli abbia impedito di limare i suoi versi e si scaglia contro gl’ignoranti stampatori delle opere sue, consigliando per evitare le sue «satire mordaci» a stampare il «Rinaldo furioso che č finito» (Tre libri di lettere del Doni e i termini della lingua toscana, Venezia, 1552, pp. 319-351).
Dovremo intendere che qui si ha un mordace dileggio per chi voleva deturpare il capolavoro del suo illustre antenato, rimaneggiandolo, non sappiamo in qual modo né a qual fine, e rivelava l’intento di emulare l’autore dell’Orlando Furioso con la composizione di un meschino poema, al quale il Doni comicamente muta il titolo da Rinaldo ardito in Rinaldo furioso?
L’ipotesi - ripeto - č un po’ complicata ma io non ho saputo immaginare di meglio per mancanza di elementi sicuri.
Ho ripreso a lavorare intorno alla Spagna. Perdoni la lunga chiacchierata. Con affetto mi creda suo dev.mo.
Michele Catalano
[Tra le pp. 174-75: foglietto inserito insieme alle due lettere di M. Catalano qui trascritte].
Scrivo al Catalano, 11 aprile 1929: «... Con vivo interesse(vi) ho letto l’articolo suo, al quale ha servito di complemento la lettera sua in risposta all’interrogazione che le avevo rivolta. Confesso che la spiegazione data alla postilla riguardante i ‘monstri’ mi pare inaccettabile.
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