(283) [2] Cfr. Inn., II, III, 27-28, XVI, 17, con Fur., II, 43-44, IV, 12-13.
(284) [3] Si possono anche mettere a confronto il principio della st. 70 nell’Agostini e quello della 34 nell’Ariosto.
(285) [1] Tav. Rit., I, 22; ib., p. 222. Cito la Tavola Ritonda, e non i suoi originali, perché la descrizione dei due edifici è in gran parte un abbellimento italiano. Mi esprimo così genericamente, per un certo sospetto che il prosatore attingesse a cantari perduti. Tra ciò che egli dice della Dolorosa Guardia, richiamano l’attenzione alcune parole: «Ma da nissuna parte vi si poteva andare, che appena l’uccello vi volasse, salvo che da questo lato.» Ognuno vede quanta somiglianza ci sia col Furioso, IV, 12. Eppure è un incontro fortuito; ché il modello vero dell’Ariosto è qui l’Innamorato, ossia, precisando la cosa, il castello d’Albraccà, II, v, 28-29. (Cfr. col Panizzi anche I, XVII, 8.) Quanto al Palagio del Grande Disio - che è poi la Torre della foresta di Darnantes nel Löseth, p. 59 -, secondo il nostro romanziere, eterodosso qui come in altre cose, lo aveva edificato per arte la «dama dell’isola di Vallone.... credendovisi dentro riposare col profeta Merlino, e averlo a suo diletto» (Tav. Rit., I, 223). Anche qui certi particolari s’incontrano, e forse non del tutto a caso, col poema ariosteo: «E cavalcando in tale maniera Tristano e la donzella per uno picciolo sentiero della detta selva, eglino arrivarono a uno ricco palagio, e bello e forte e dilettevole, lo quale era in una grande valle del diserto, e circundato d’intorno da quattro monti altissimi.
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