(470) [1] La storia della falsa Ginevra (Lancelot, t. I, f.o 171, PARIS, Rom. de la T. R., IV, 148), quantunque ivi pure s’abbia la regina di Logres giudicata a morte e salvata perché Lancilotto si presenta a sostenere le sue ragioni, è troppo dissimile per esser rammentata nel testo. Gli amori non ci hanno parte: tutto si fonda sopra una somiglianza di persona, approfittando della quale una bastarda, sorella della regina per parte di padre, tenta di usurpare il trono. Costei pretende che colei che lo occupa da tanto tempo, sia una sua ancella, sostituitasi fraudolentemente a lei la notte delle nozze. Artù fa in tutta questa storia la più brutta figura. - Un altro episodio del Lancelot, simile in parte ai due riferiti di sopra, cita in una nota illustrativa, riportando le rubriche da un’ed. del 1591, il Mazuy (I, 122), il quale pretende di ravvisarvi appunto l’origine della narrazione ariostesca (p. 119; e cfr. p. 123). Si tratta della difesa che Lancilotto assume di Ginevra, quando Meleagant, il figliuolo di re Baudemagus, che ha potuto impadronirsi della regina e trascinarla alla corte paterna, crede aver avuto la prova positiva di rapporti suoi peccaminosi col siniscalco Keu (PARIS, Rom. de la T. R., V, 69). Del pari che nel Lancelot in prosa, il racconto s’ha nel poema de la Charete di Crestien de Troies (Romania, XII, 478). Ma in nessuno dei due apparisce per nulla la condizione essenziale che Ginevra stia per esser fatta morire in seguito al presunto fallo. Che se la condizione viene ad aggiungersi nell’atteggiamento che prendono il seguito e la conclusione dei casi di Meleagant nella Morte Darthure di Thomas Malory (Romania, p. 501: cfr. p. 481-82, e PARIS, Op. e t. cit., p. 92-98), non è questo un motivo che a noi possa bastare.
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