Ma se per copiosità il Fórnari non ha chi gli s’accosti, per estensione non è a dire il medesimo. Le due parti dell’opera sua uscirono nel 1549 e nel 1550; e fino dal 1542, forse per opera di Lodovico Dolce, brevi interpretazioni etiche s’erano cominciate ad avere in capo ai singoli canti nelle edizioni di Gabriele Giolito: interpretazioni che Alonso de Ulloa venne anche parafrasando a pro di ristampe della versione spagnuola che del nostro poema aveva fatto Geronimo de Urrea. Dalle sobrie elucubrazioni del Dolce (se è lui l’autore) e dalle non sobrie del Fórnari, sgorgarono quelle, di cui il giureconsulto Clemente Valvassori arricchì i Furiosi del suo omonimo Gio. Andrea, e che un proemio ci dice non posteriori al 1553. Esse precedono ogni canto, come accade nelle edizioni giolitine; e a cotali esempi si conformarono le tante edizioni del Valgrisi, illustrate da Girolamo Ruscelli. Entrarono poco dopo in gara, in servigio di altre edizioni, Giuseppe Orologgi (1563), e Tommaso Porcacchi (1570). Per ultimo segnalerò Orazio Toscanella, che delle allegorie fece uno de’ suoi principali intenti in quelle Bellezze del Furioso (1574), di cui tolse, non so quanto lecitamente, il titolo ad un libro che il Ruscelli aveva, a quel che pare, molto più che disegnato. - Di che aberrazioni potessero esser capaci questi pretesi dichiaratori del poema ariostesco, ce lo dica Astolfo, tratto a rappresentare «l’huomo contemplativo, che con l’ingegno penetra fino l’inferno et il Cielo». Il matto cugino di Orlando avrebbe immaginato di sé ogni cosa, salvo che di essere preso un giorno per una specie di Rachele o di Beatrice.
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