Penserei altrimenti, se le parole si leggessero nel racconto che fa de’ casi suoi Idalagos-pino, al posto di quell’altre: «E se io ben comprendeva le note del suo canto, ella niuna cosa amava secondo quelle se non me: di che io vissi per alcuno spazio di tempo contento. Ma la non stante fede de’ femminili cuori, parandosi davanti agli occhi di costei nuovo piacere, dimenticò com’io già le piacqui, e preso l’altro e fuggita del mio misero grembo, nell’altrui si richiuse» (II, 249 nell’ed. cit.). Si può confrontare la st. 48.
(526) [2] Da ciò furono certo indotti a vedere una Circe in Alcina il Fausto, il Beni, ecc.
(527) [3] V. p. es. ORAZIO, Epist., I, II, 23.
(528) [4] LAVEZUOLA, non senza risalire di lì anche a Circe.
(529) [5] La cosa non è sfuggita al Panizzi.
(530) [1] Storia di Beder, Notte 271; ed. di Breslavia, VI, 102.
(531) [2] JUBINAL, Oeuvres Complètes de Rutebeuf, ed. 1a, II, 227; ed. 2a, II, 195. Dell’edizione delle opere di Raoul curata da M. Friedwagner (R. von H. Sämtliche Werke, Halle, Niemeyer), non è uscito finora che il primo volume (1897).
(532) [3] Il Quadriregio fornisce un riscontro, che, qual s’annunzia nei primi ammaestramenti di Minerva, parrebbe eccellente: (I, XII, 34) «Al regno mio del qual vuoi ch’io ti dica, Rispose quella, e vuoi, ch’io ti dimostri, Non vi si può salir senza fatica. - Ché nel cammino stanno sette mostri, Con lor satelli, ad impedir la strada, Che l’uom non giunga a’ miei beati chiostri. - E chi lusinga, acciò che a lui non vada, Chi fa paura, e chi occulta il laccio, Che impacci altrui, o che dentro vi cada.
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