» - Trist. Ricc., p. 4; Tav. Rit., I, 40.
(548) [2] Trist., I, f.o 120; LÖSETH, p. 59; Trist. Ricc., p. 344; Tav. Rit., I, 225.
(549) [3] Si senta ciò che della Corte Urbinate ci dice il Castiglione, Corteg., I, 5: «.... Consuetudine di tutti i gentilomini della casa era ridursi subito dopo cena alla signora Duchessa; dove..... talor si faceano alcuni giochi ingeniosi ad arbitrio or d’uno or d’un altro, nei quali sotto varii velami spesso scoprivano i circunstanti allegoricamente i pensier sui a chi più loro piaceva.»
(550) [4] OVIDIO, Her., XVIII, 41-54: derivazione segnalata anche dal Nisiely.
(551) [5] I, VIII, 65. Il Lavezuola, riferendo questo distico, al quale non mancò di mettere accanto l’imitazione di Ovidio nell’epistola d’Ero, v. 53, disse sbadatamente «Catullo». La sbadataggine è rilevata e corretta dal Romizi, Fonti lat., p. 18-19.
(552) [1] PANIZZI. Cfr. altresì le st. 27-28 del Furioso colla 60a dell’Innamorato.
(553) [2] Si cfr. colle nostre stanze 53-55, OVIDIO, Her., Deianira, v. 55 sgg.; SENECA, Hipp., v. 317-29. Di Ovidio sono anche da vedere i Fasti, II, 317. E non sarà aggiunto inutilmente neppure un passo del Boccaccio, De claris Mulieribus, cap. XXI, Iole: «Et primo digitos anulis ornari praecepit, caput aspersum unguentis cypricis deliniri, et hirsutos pectine discriminari crines, ac hispidam ungi nardo barbam.»
(554) [3] Il Lavezuola mescola dunque un pochino di erroneo al vero, quando alla st. 54 annota: «Questo passo se bene alcuni hanno detto esser fatto a sembianza di quello di Vergilio nel quarto dell’Eneide, parmi molto somigliante a quel d’Ovidio nell’Epistola di Deianira».
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