(607) [3] L’indugio sembrerà forse abbastanza illogico. Quanto più la donna pareva bella, tanto maggiore dovrebb’essere la fretta di esporla, nella speranza di far restare il flagello. Tuttavia l’Ariosto potrebbe rispondere a sua difesa, che gli Ebudesi conservavano il barbaro costume, senza più pensare alla causa.
(608) [1] FAUSTO; BENI; NISIELY; ecc.
(609) [2] Basta quindi accennare. Fur., X, 71-72 e 91-93: cfr. Met., IV, 668-69 - st. 92: v. 670-73 - st. 96: v. 673-75 - st. 97: v. 675-80 - st. 98: v. 680 -81 - st. 99: v. 682-84; 688-89 - st. 100: v. 689-91; 705-10 - st. 102: v. 712-13 - st. 103: v. 714-17 - st. 104: v. 718-19; 724-28 - st. 106: v. 728-31 - st. 107: v. 733.
(610) [3] È merito di G. Morici l’aver indicato, in un giornale letterario giovanile (Vita Nuova, Anno II, n. 23, p. 5, Firenze, 8 giugno 1890) la partecipazione di Manilio (Astron., V, 540-615), menzionato bensì dal Panizzi, ma solo per far rilevare come, in contrapposto colle Eroidi (Sappho, v. 35), facesse bianca la figlia di Cefeo. Con ragione, pare a me, il Morici vede nel «saevit in auras Morsibus et vani crepitant sine vulnere dentes» detto del mostro (v. 601-602), la spinta alla similitudine del mastino e della mosca, nonostante che sia da badare anche a Met., IV, 724. Ed è sicuro, sebbene il Morici qui dubiti, che nella st. 106, ben più che Ovidio, v. 729-30, c’è Manilio, v. 603-604: «Efflat et in coelum pelagus, mergitque volantem Sanguineis undis, pontumque extollit in astra.» Invece non consentirei facilmente che i versi 3-4 della st.
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