99 devano il pochissimo che aggiungono al 684 del modello principale alle parole «nivea cervice reclinis Molliter, ipsa suae custos est sola figurae» (v. 554-55), che ci rappresentano Andromeda in un momento assai diverso, non ancora in cospetto del liberatore. Piuttosto sarà da tener conto per la st. 95 di quelle che immediatamente seguono, «Defluxere sinus humeris, fugitque lacertos Vestis». E i pianti del v. 546 potranno richiamarci, ancorché titubantemente, alla st. 65 del c. VIII. Per altri raffronti, V. la nota seguente.
(611) [4] I primi quattro versi della st. 96 diluiscono di molto il «marmoreum opus» di Ovidio. Ebbene, anche Valerio ne fa tre versi (Arg., II, 465-67), e ci dà un «multa tamen arte coactum» da mettere coll’ariosteo «Per artificio di scultori industri», e un «ebur, Pariusve.... lapis» rispondente al «d’alabastro o d’altri marmi illustri». Così pure alle parole del nostro poeta (st. 98), «stringendo... Di queste belle man l’avorio», fornisce un riscontro l’Argonautica (v. 469, «tendunt cur vincula palmas?»), e non il poema ovidiano. Si paragoni altresì, Arg., v. 531, «Pistris adest, miseraeque inhiat jam proxima praedae»: Fur., st. 100, «Così ne viene al cibo che l’è mostro La bestia orrenda; e l’intervallo è corto.» - E Valerio, colle espressioni, «incumbentem per mille volumina» (v. 503), «spatiosa volumina monstri» (v. 514), «molem horrificam» (v. 518), sarebbe atto a chiarirci l’origine dei versi (st. 101), «Altro non so che s’assimigli a questa, Ch’una gran massa che s’aggiri e torca»; e col «Vinclisque tenentibus aufert Virgineas de rupe manus» (v. 543-44), spiegherebbe - dato che qui una spiegazione non sia superflua - lo «Slegò la donna» della st.
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