» Alcune circostanze converrebbero invece con un antro, che presso Eliodoro (Storie Etiopiche, I, 28-29) serve di nascondiglio alle ricchezze rapite, e di asilo agli stessi ladroni nei momenti di pericolo: «La caverna non era opera di natura.... bensì scavo d’arte ladronesca e di mani egiziane.» Cfr. Fur., XII, 90. Per entrare si deve scendere qui pure. Infine vi cade una certa luce «da uno spiraglio». Inutile avvertire che somiglianze di questa sorta non hanno punto bisogno d’essere spiegate per via d’imitazione. Né c’è forse maggior ragione di supporre che Lodovico avesse presente l’originale di Luciano, per la circostanza del fuoco, che presso entrambi è menzionato alla prima (Fur., XII, 92: Asino, c. 20), il che non accade in Apuleio.
(719) [1] IV, 25: «Ad baec anus iratior, dicere eam saeviore jam vultu jubebat, quid malum fieret vel quid repente postliminio pressae quietis lamentationes licentiosas replicaret. Nimirum, inquit, tanto compendio tuae redemptionis defraudare juvenes meos destinas? Quod si pergis ulterius, jam faxo lacrimis istis, quas parvi pendere latrones consuevere, insuper habitis, viva exurare.»
(720) [2] Zerbino, rispetto a Gerbino (Cerbino nella riduzione in ottava rima, Scelta di Cur. lett., disp. XXV), è semplicemente una pronunzia dialettale della regione a cui appartiene Ferrara. Trattandosi di un nome proprio, si capisce come potesse accadere all’Ariosto di lasciar sempre inalterata la forma che sul principio, quando era meno toscano, gli dovette venir spontanea alla penna.
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