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      Le parole, «Il sole indarno il chiaro dì vi mena, Ché non vi può mai penetrar co’ raggi», traducono quest’altre delle Metamorfosi: «Quo numquam radiis oriens mediusve cadensque Phoebus adire potest»; eccetto la voce «penetrare», che non si vorrà disgiungere dal «nulli penetrabilis astro» della Tebaide. Il penultimo verso della stanza, «Sì gli è la via da folti rami tronca», è qui una specie di glossa, che tuttavia non fa senza ragione pensare il Romizi, l. cit., al «spissa ramis laurea Fervidos excludet ictus» di Orazio (Odi, II, XV, 9). Quanto all’ultimo verso, il primo emistichio, «E quivi entra sotterra», vien da Stazio: «subterque.... It vacuum in montem»; mentre nel secondo, «una spelonca», non so non veder riprodotta la «spelunca» di Ovidio. Qui mi fermo. Aver analizzato così per minuto un’ottava può star bene. Seguitare di più, sarebbe un biascicare il cibo che desidero sia messo in bocca da’ miei lettori.
      (772) [1] Essa vuole che il Sonno, opprimendo i Tebani, che serrano da vicino gli assediatori nel loro campo (V. più oltre, p. 252), li faccia vittime inermi de’ Greci.
      (773) [2] Citerò qui, Iliade, XX, 321; Odissea, VII, 41. Saranno bene i passi a cui vuol alludere il Pigna, ricordando come modelli nel caso nostro Enea ed Ulisse.
      (774) [3] Spagna, XXXVI, 45; e si confronti l’umoristica contestazione del Pulci, Morg., XXVII, 179. Nel Viaggio di Carlo Magno (II, 199) la montagna si apre per mezzo, «sì che potevano andare trenta cavalieri a paro».
      (775) [4] Mi si conceda di rammentare pur Dante, cui la pietosa Lucia risparmia un tratto di salita sul monte del Purgatorio, trasportandolo addormentato (Purg., IX, 52).


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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