(1729) [1] BAROTTI; PANIZZI.
(1730) [2] St. 25: «Incauto, e vinto anco dal vino forse». V. anche st. 30.
(1731) [3] Pag. 59.
(1732) [4] Forse, ripensandoci, converrà anche il Romizi, nonostante che nelle Fonti latine, p. 70, abbia dissentito, e che per ragione sua io abbia dovuto aggiungere il «quasi». Egli stesso ammette la rispondenza del «Così i miei versi avesson forza» col «Si quid mea carmina possunt» del poeta latino; e, guardando bene, vedrà che in quel che tien dietro c’è, nonostante le differenze, parallelismo di concetto. Par dunque manifesto che l’apostrofe virgiliana stava qui realmente dinanzi alla memoria dell’Ariosto. E considerato allora che questa e la nostra coronano solennemente, con effetto analogo, un episodio pietosissimo, non so capire perché le due non s’abbiano da «ravvicinare», quando pure il saluto dato a Isabella sia, come il Romizi dice, «più affettuosamente gentile e più naturalmente modesto». Soggiugerò che l’apostrofe di Virgilio non aveva lasciato traccia di sé nell’imitazione che dell’Eurialo e Niso s’era fatta col Cloridano e Medoro (V. XIX, 16). Che Lodovico rammentasse altresì un luogo di Stazio, Theb., III, 99-111, che il Romizi paragonerebbe di preferenza, non affermo e non nego. Del resto si tratta qui di un ordine di derivazioni, che a me accade di rilevare solo incidentalmente e per un soprappiù.
(1733) [1] V. pag. 359.
(1734) [2] Lancelot, cod. Marc. CIV, 8, 12, f.o 273. Trist., II, f.o 221; LÖSETH, p. 326. Palam., f.o 641.
(1735) [3] PARIS, Rom. de la T. R., IV, 140. La versione prosaica qui riassunta concorda col testo poetico di Crestien de Troies: Romania, XII, 467; v. 660-67 nell’edizione recentissima del Foerster (Der Karrenritter, Halle, 1899).
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