» Sentendo narrare delle maraviglie di codesto Paradiso e vedendo qualche saggio de’ suoi prodotti, gli pare di non aver fatto nulla, se non può arrivare colassù. Però, con cinquecento soldati scelti, entra in nave e risale il fiume. Dopo un mese e più di navigazione, pervengono ad una mirabile cerchia di mura. Per volontà di Alessandro, alcuni dei suoi scendono in una barchetta e vanno a picchiare ad una finestruola serrata. La finestra è aperta e si chiede che vogliano. Essi vantano la potenza del loro Signore, e dichiarano da parte sua che «si spe vitae, si corporis salute, si temporum quiete cupitis perfrui, ne extollamini per insolentiam, sed omnibus gentibus consuetudinarium persolvatis ei tributum.» Con tutto ciò si confrontino le nostre stanze 109-110. Alessandro, se non è punito della sua andata, riceve peraltro una severa lezione. Egli è rimandato con una certa gemma, che ha l’aspetto di un occhio, e che servirà ad ammonirlo della insaziabilità e vanità di ogni umana cupidigia. Poiché essa, posta quale è sopra un piatto di bilancia, non può essere contrappesata da nessuna quantità d’oro; e diventa invece più leggiera di una piuma, non appena coperta (con ciò si raffigura la morte) di un poco di polvere.
(2043) [2] V. p. 543.
(2044) [3] VALERIO FLACCO, Arg., IV, 479: «Fata loquax mentemque Jovis, quaeque abdita solus Consilia, et terris subito ventura parabat, Prodideram, miserans hominum genus». Il medesimo dice Apollonio Rodio, II, 181.
(2045) [4] FAUSTO; DOLCE; LAVEZUOLA; NISIELY; PANIZZI; MAZUY; BOLZA.
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Paradiso Alessandro Arg Jovis Consilia Prodideram Apollonio Rodio
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