Le vivande furono carni di castrati e d'agnelli arroste e lesse, le quali erano ingroppate in certi invogli di sottilissimo pane fatto a modo di lasagne, ma piú fermo e piú grosso. Fuvvi dipoi recato innanzi il cuscusu e il fetet, con altri cibi di cui ora non mi soviene. Al fin della cena io levai in piedi e dissi: «Signore, il mio zio ha mandato a V. Ecc. un picciolo presente, sí come quello che povero dottore è, affine che per voi si conosca la prontezza del suo animo e perché egli abbia qualche poco di luogo nella vostra memoria. Ma io, suo nipote e discepolo, per non mi trovar altra facultà con che onorarvi, vi fo un presente di parole, percioché, quale io mi sono, desidero ancor io d'esser numerato tra i servitori di vostra altezza». E questo detto incominciai a legger la mia canzona, e nello spazio ch'io la leggeva, il signore parte dimandava le cose che non erano intese da lui e parte riguardava me, che allora era di età di sedici anni. Letta ch'io ebbi la canzona, essendo egli stanco del cacciare ed essendo ora di dormire, mi diè licenzia. La mattina m'invitò per tempo a desinar seco e, fornito il mangiare, mi diè cento ducati ch'io portassi al mio zio, e tre schiavi che lo servissero nel viaggio; a me fece presente di cinquanta ducati e un cavallo, e per ciascuno di quei ch'erano in mia compagnia dieci ducati, e m'impose ch'io dovessi dire a esso mio zio che quei pochi doni erano per premio della canzona, non in contracambio dei presenti fattigli da lui, percioché egli si serbava al ritorno suo di Tombutto di mostrargliene buona gratitudine.
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Ecc Tombutto
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