I detti prigioni incominciarono a dir al capitano: «Signori, ne volete voi mancare della fede vostra? Voi ne prometteste che saressimo liberati dapoi che 'l re fosse sodisfatto. Rispose il capitano: «Io non vi manco della fede mia, perché ora io non vi tengo prigioni per conto del re, ma per conto di costoro che vi dimandano la robba loro: secondo che sentenzieranno i giudici e i dottori, cosí faremo; forse che sarà meglio per voi».
L'altra mattina, fatta congregazione dei dottori e dei giudici dinanzi al capitano, parlarono prima i procuratori dei prigioni in questo modo: «Signori, egli è vero che questi nostri hanno tenuto le possessioni dei loro avversari per conto dei loro antecessori, i quali tennero per piú di venti anni le possessioni degli antecessori dei presenti prigioni». Il procuratore degli avversari rispose: «Signori, questa cosa che costoro dicono è stata già centocinquant'anni passati, né si truova testimonio né instrumento per provarla». Disse il procuratore dei prigioni: «Ella si può ben provar, perché v'è la fama publica». Rispose l'altro: «Questo non si può provar per fama publica, perché chi sa quanto tempo le hanno tenuto i detti antecessori? Forse che le possederono per ragione, perché ancora si dice publicamente che gli antecessori dei prigioni anticamente furono ribelli contra la corona del re di Fez, e quelle possessioni furono della camera reale». Allora il capitano, per malizia mostrando compassione sopra i detti prigioni, disse al procuratore: «Non incolpate cosí tanto questi poveretti prigioni». Il procurator rispose: «Paionvi forse costoro poveretti?
| |
Fez
|