Il quale rispose che egli volentieri gli darebbe a mangiare la carne sua, quando ella fosse bastante a pascer tutti, stimando ciò poco prezzo al merito della loro fedeltà; e col fine delle parole fece vedere a molti quale era il cibo della sua cena di quel giorno, il quale era carne di cavallo cotta in orzo e foglie di melangole: a tanto che 'l popolo conobbe che la penuria del re avanzava quella di ciascun privato. Il re allora, fatti chiamare li figliuoli, fratelli e nepoti, fece una bellissima orazione, conchiudendo che esso era disposto di valorosamente morire fra i nimici col ferro in mano, piú tosto che vivere in cosí vituperosa e misera vita; perciò chi fosse seco d'un medesimo animo il dí sequente lo seguitasse: il che tutto il popolo parimente mostrò di consentire. Ma volle la sorte buona che, l'istessa mattina per la quale s'era ordinato il fatto d'arme, il re Giuseppe fu ucciso nel suo campo da uno de' suoi per isdegno. La qual novella, pervenuta nella città, sí come agghiacciò l'animo di quelli di fuora, cosí accrebbe ardimento e forza al ben disposto popolo, onde, col suo re uscito alla campagna, n'ebbe con picciola fatica la non prima sperata vettoria. E oltre che uccise una grandissima quantità dei nimici che disordinatamente fuggivano, e' si fece anco padrone delle vettovaglie e di molti bestiami, ch'essi furono a lasciare costretti. Cosí la carestia di pur dianzi si cambiò in somma abbondanza; nondimeno ciascuno molto si risentiva del danno avuto nella lunghezza dell'assedio.
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Giuseppe
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