La regina di continuo stava alla finestra con le sue damigelle, e dalla mattina alla sera stava per vedermi e parlar meco; ed essendo da piú uomini sbeffeggiato, acciò che piú vera paresse la mia pazzia, cavatami la camicia andava cosí nudo avanti alla regina, la quale avea grandissimo piacere quando mi vedeva e non voleva ch'io mi partissi da lei, e davami di buoni e perfetti cibi da mangiare, in modo ch'io trionfava. Ancora mi diceva, come vedeva che li fanciulli mi correvan drieto: «Dagli a quelle bestie, che se tu gli ammazzi sarà suo danno». Andava per la corte del soldano uno castrato, che la coda sua pesava quaranta libbre; io il prese e dimandavagli s'egli era moro o cristiano over giudeo, e replicandoli queste parole e altre, gli diceva poi: «Fatte moro e di': "la illache ill'allach Muchemmedun resul'allach'». Ed egli stando come animale paziente, che non sapeva parlare, pigliai un bastone e gli ruppi tutte quattro le gambe, e la regina stava a ridere; e dapoi mi dettono tre giorni a mangiare di quella carne, della quale non so se mai mangiassi la migliore. De lí a tre giorni gli ammazzai un asino il quale portava l'acqua al palazzo, in quel medesimo modo ch'io feci del castrato, perché non se voleva far moro; il simile ancora faccendo con un giudeo, lo assettai in modo che per morto il lasciai.
Ma un giorno, volendo fare come soleva, trovai uno di quelli che mi guardavano ch'era molto piú pazzo di me, e dicevami: «Can cristiano, figliuolo di can». Io li tirai di molti sassi, ed ei si cominciò a voltare verso di me con tutti li mammoli, e dettemi d'un sasso nel petto, che mi fece un mal servigio.
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Muchemmedun
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