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      E cominciando di continuo il vento e 'l mare a farsi grande, per il peso del giunco non potevamo andar tanto a orza come l'armata, ma di continuo piú a sottovento; e per essere vicini a certi bassi, essendo l'armata già sopravento da essi passata avanti, noi non potemmo passargli, e fummo necessitati mutarci in altra volta del mare. E quando tornammo al medesimo cammino, restammo indrieto quattro leghe e a sottovento di detta armata, la quale perdemmo la medesima notte, senza poterla mai in questi giorni rivedere. Fummo parando al vento e alla tempesta quasi incomportabile due giorni, sperando di nuovo congiungerci, se non in altro luogo, al meno al Zidem. E in questo tempo si aperse il giunco per la gran fortuna che era in mare, non sendo sí forte come le nostre navi, e fu necessario ch'accogliessimo tutta la gente che in esso andava a fin che non si perdesse: il quale dipoi fu al fondo.
      E questo fu il venerdí santo, nel quale per l'altura del sole trovavamo esser discaduti XXX leghe del nostro viaggio, e non cessando il vento, ma continuamente crescendo, trovandoci con poca acqua e molta gente, né sapendo dove la potessimo pigliare, determinammo di tornare all'isola di Cameran mentre ch'il tempo serviva per quella parte, con timore di calma o che non si mutassi in tempo che non potessimo arrivare in alcuna parte. E non avendo altro rimedio a nostra salvazione, demmo volta per detta isola, e il pilotto errando il cammino fu a levarci in Etiopia, all'altra costa, la quale (per esser in queste parti il mare piú largo che in nessun'altra di questo stretto) è larga dall'altra di Arabia 30 leghe.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Secondo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1307

   





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