Fummo al lungo la detta costa con intenzione d'entrare nella isola di Suachem, che è messa in un braccio di mare dove i cristiani di Etiopia s'imbarcano per Gierusalem; ed essendo già in latitudine di XVIII gradi, in che detta isola è posta, non potemmo mai conoscerla.
In questo tempo avemmo vista d'un navilio di Mori che per la detta isola navigano, e fummo col battello ben armato per pigliarlo e da essi intendere donde detti fussero; i quali, subito ch'ebbero vista di noi, diedero in secco della costa e fuggirono, lasciando il navilio senza gente. Noi discendemmo in terra per trovar alcun modo di pigliar acqua, e non trovando abitazione alcuna, ci mettemmo a far pozzi; ed essendo l'acqua salmastra, ci tornammo alla nave con grandissima passione.
Della isola detta Dalacia. Come i Portoghesi patirno gran disagi per mancamento d'acqua, e d'un maggior pericolo che li sopravenne. Della montagna detta Bisan overo Visione.
Perduta la speranza di Suachem, determinammo passare a Dalaccia, ch'è un'altra isola nella medesima costa, dove già furono nostri navili nel tempo dell'altro capitano, che passò nel mar Rosso. E perché l'ambasciadore ci diceva fossimo là, che non la potevamo fallire, e che de lí andassimo al porto del Prete Ianni, dove ci saria dato quanto fosse necessario, de qui partimmo, andando sempre a vista di molte isole, fra le quali molte d'esse erano piene d'arbori e di verdura, che molte volte c'ingannò, perché, giudicando che tenessino acqua, fummo là col battello, né mai potemmo discoprirla, ma di continuo perdendo tempo andavamo per perduti, piú l'un giorno che l'altro disperandoci, salvo che della misericordia di Dio, che era cosa miseranda a vedere in quanta necessità ci trovavamo.
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