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      In questo viaggio ci sopravenne tanto mancamento d'acqua, che molti uomini de' nostri mal trattati dalla sete morirono, e della ciurma delle galere e de' cristiani malabari e schiavi d'uomini particolari, che pochi restarono con la vita, perché la sete e la fame generava una infermità di petto, che senza febre si spacciavano in due giorni: ed era tanto generale in tutti, che non fu alcuno in questo viaggio che non si cavasse sangue molte volte, ch'era il meglior rimedio per tal infermità.
      Piacque a nostro Signore por fin a nostre fatiche e condurci a Calaiate, porto d'Arabia Felice vicino al sino Persico e all'isola d'Ormuz 100 leghe, dove stemmo XV giorni, ne' quali tutta la gente ritornò sana, col rinfrescamento della terra di Calaiate, la qual (com'è detto) è terra d'Arabia Felice, in XXII gradi di latitudine, non molto maggiore di Zeila, con casamenti di pietra e calce e senza mura, situata nella costa giunta col mare. Li naturali d'essa sono arabici nel parlare, vestire e ne' costumi: tengono un panno atorno le parti vergognose e in capo uno turbante, e li piú onorati vestono una camicia lunga cinta, con maniche larghe, come i camici de' sacerdoti, e la maggior parte una berretta lunga di feltro grossa, di colore lionato scuro, di forma piramidale come la mitria del papa. Le donne tengono sempre la faccia coperta con un panno di cotone, raro come di velo e di colore azurro, tagliato sopra gli occhi come maschera. L'abito loro è uno palandrano diviso davanti, la lunghezza del quale non passa il ginocchio a basso, e con maniche molto larghe; portano calzoni lunghi fino a' piedi, di varii colori, e sopra il naso da una banda una balletta d'oro larga, confitta nella carne, e da basso un anello, come i bufoli di nostra terra.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Secondo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1307

   





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