e come facemmo una processione e le cavallette morirono.
Cap. XXXII.
In questa parte e in tutto il dominio del Prete Ianni vi è una orribile e gran piaga, che son cavallette senza numero, le quali mangiano e consumano tutte le biade e gli alberi: ed è tanta la quantità di questi animali che non si può credere, e con la loro moltitudine cuoprono la terra ed empiono l'aria, talmente che è difficil cosa poter veder il sole. E di nuovo affermo che è cosa incredibile a chi non le vede, e se il danno che esse fanno fusse generale per tutta la provincia e reame del Prete Ianni, si morrebbe di fame e non saria possibile abitarvi; ma un anno distruggono una provincia, come sarebbe a dire nella provincia di Portogallo o di Spagna, un altro anno son nelle parti di Lenteio, un altro in Estremadura, l'altro in Beira o vero fra il fiume Duoro e Minio, l'altro nelli monti, l'altro in Castiglia vecchia, Aragona o vero in Andalusia, alcune volte in due o tre di quelle provincie: e dove esse vanno, resta la terra distrutta piú che se vi fusse stato il fuoco. Queste cavallette son grandi come gran cicale e hanno le ali gialle. Innanzi che arrivino nel paese, lo sappiamo un giorno avanti: non che le vediamo, ma conosciamo al sole che mostra il suo splendor giallo, che è segno ch'elle si avicinano al paese, e la terra diventa gialla per la luce che la riverbera dalle ali di quelle, per il che la gente diviene subito come morta, dicendo: «Siamo perduti, perché vengono gli ambati», che vuol dir cavallette.
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