Fatte le cerimonie come nell'altro luogo, andammo a desinare, e gli uomini convicini ne pregorno che andassimo con loro, promettendone gran presenti. Piacque al Signore che, subito che avemmo desinato, noi vedemmo la terra netta che non si vedeva pur una cavalletta per miracolo: e vedendo ciò, non confidandosi della grazia avuta, ci pregorno che dovessimo andare a benedire le loro possessioni, che ancora avevano paura che non ritornassero, e cosí ritornammo a casa.
Del danno che vedemmo in un'altra terra, fatto per le cavallette in due parti.
Cap. XXXIII
Un'altra volta, trovandoci in una terra chiamata Abuguna, vedemmo le cavallette. A questa terra ci mandò il Prete Ianni, acciò che ci fornissimo quivi di vettovaglia, la quale è nel reame d'Angote ed è lontana dal luogo di Barua, dove noi stavamo, il cammino di 30 giornate. Essendo quivi giunti, io andai con l'ambasciadore Zagazabo, che venne in Portogallo, e cinque Genovesi, verso un luogo e una montagna che si dimanda Aguoan; e camminammo 5 giorni per luoghi tutti diserti e distrutti, nei quali eran seminati migli zaburri, che avevano le canne cosí grosse come son quelle che noi adoperiamo nelle vigne, e vedemmo che tutte erano rotte e calpestate come se vi fusse stata la tempesta, e questo avevano fatto le cavallette. I formenti, orzi e taffi erano stati mangiati, di tal sorte che pareva che mai vi fusse stato lavorato né seminato. Gli arbori eran senza foglie, e le scorze di quelli tutte mangiate, e non vi era pur erba, che ogni cosa avevano mangiato: e se noi altri non fussimo stati accorti e avisati, che nel partir nostro caricammo le mule di vettovaglia, saremmo morti di fame insieme con le cavalcature.
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