Dura questa asperità un tratto di balestra, e chiamasi questo luogo Aquifagi, che vuol dir «morte di asini», e si paga dazio per il passaggio. Molte fiate dapoi siamo stati per queste porte, e mai non vi passammo che non trovassimo bestie e buoi morti. Oltra questo passo vi restano ancora sei miglia di fastidioso cammino, tutto di sasso, sempre descendendo, nel mezzo del qual vi è una grotta nel sasso forato, che dalla cima vi goccia continuamente l'acqua, la qual fa alcuni stillicidii lunghi di sasso di diverse forme. In capo di queste sei miglia trovammo un fiume grande, il qual si chiama Anecheta, nel qual dicono esser infinito pesce e grande. Dapoi camminammo montando sempre per tre miglia fino che arrivammo a una porta picciola, la quale passata si trova un altro fiume, dove stanno alcune altre porte le quali non si usano: e quelli che passano queste fosse e valli profonde vengono a dormir quivi, perché non ponno passar in un giorno da capo a capo.
Quivi il frate che ne conduceva fece una crudeltà contra un xuum, overo capitano, che non saria fatta a un Moro. Costui non mandò cosí presto li suoi uomini ad aiutare a portar le nostre robbe, però gli fece ruinare alcuni campi di fava e dargli il guasto del tutto, delle qual fave si vive in queste valli, perché non vi nasce altro se non miglio e fave. E perché noi gli contradicevamo, diceva che questa era la giustizia del paese, e ogni giorno mandava a battere molti di quelli che ne portavano le robbe, e alle volte toglieva loro mule, vacche e pezze di tela, dicendo che cosí si aveva da fare a chi serviva male.
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