A questo non fu fatta altra risposta, ma entrò in altre dimande, e ci spedí mandandone molto da mangiare e da bevere: e cosí faceva ogni giorno, per tutto il tempo che stemmo nella corte.
Passando quattro o cinque giorni dipoi che ne parlò del napamondo, ne mandò a dire ch'egli voleva scrivere al papa a Roma, che eglino chiamano Rumea neguz lique papaz, che vol dire «re di Roma e capo di papa», e che io gli facessi il principio della lettera, perché essi non hanno costume di scrivere e non sapevano come si scrivesse al papa: e che queste lettere io le aveva da presentare al papa. Gli rispose don Rodrigo ambasciadore che non eravamo venuti quivi per scrivere, e che non vi era alcuno che sapesse scrivere al papa, e io gli dissi che gli farei il principio, e che del resto essi seguissero quello che nel cuore avevano da scrivere o richiedergli. Fu risposto che dovessimo andare a desinare, e subito tornare il frate e io, e che io portassi tutti i miei libri per far queste lettere: e cosí facemmo. Giunti, trovammo tutti quelli che essi tengono per molto dotti e savii, con molti libri, e mi dimandarono ove erano li miei; gli risposi che non erano necessarii libri, se non sapere l'intenzione di sua Altezza, e secondo quella ci saremmo governati. Subito per un principale sí di auttorità come di scienzia ch'era ivi presente, il qual per titolo si chiama abucher che vuol dire cappellano maggiore, fu detto al frate la intenzione del Prete ed egli me la disse, e io mi posi a scrivere e brevemente feci un picciolo principio, che subito nella mia lettera fu portato a sua Altezza, il qual veduto me lo rimandò, e immediate noi lo traducemmo nella sua lingua e glielo rendemmo.
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