E cosí restammo con grande allegrezza, e li calacenes discontenti per esser venuti indarno.
Come noi ci partimmo dal porto e isola di Mazua, e arrivammo all'isola d'Ormuz.
Cap. CXLII.
Alli XXVIII del mese d'aprile 1526 si partí tutta l'armata, che era di cinque vele, cioè tre galeoni grandi e due caravelle, e arrivammo all'isola di Cameran il primo giorno di maggio. Quivi cessò il vento, ed essendo stati tre giorni aspettandolo, mi venne a memoria come in questo luogo avevamo sepolto Odoardo Galvan, che veniva ambasciadore al Prete Ianni di ordine del re nostro signore, e io fui alle sue esequie con il licenziato Pietro Gomes Tessera auditore, e lo ponemmo in una grotta con openione, se in alcun tempo venissero suoi parenti o amici, che potessero portare le sue ossa in terre de cristiani: e per questo me ne andai con un mio schiavo solo e lo feci cavar fuori, e non gli mancava altro che tre denti, e postolo in una picciola cassa, lo caricammo sopra il galeone San Lione, sopra il quale io stava, né persona alcuna sapeva ciò che vi fusse dentro, salvo un Gasparo di Saa, fattore dell'armata, che era del suo parentado. Subito che le ossa furno nel galeone, venne un buon vento a poppa, e in quella ora facemmo vela, e ci serví fino alli X di maggio, che eravamo per mezzo alla città di Adem; e cominciando noi a ingolfarci nel mare, di donde ne veniva all'incontro e in faccia il verno dell'India, e noi contra di quello andavamo, cominciò una sí gran fortuna che la seconda notte che in quello entrammo, con una estrema oscurità e travaglio, ci perdemmo senza piú sapere che cammino né l'uno né l'altro si pigliasse.
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