E quivi accostatosi lo scrivano piglia la man dritta del reo, e guarda se egli ha qualche piaga di rogna o altro male, e scrive come ei tien la mano in presenza della parte; poi gli comanda che guardi fisso l'idolo e dica tre volte: «Io non ho fatto il furto del quale sono accusato, né so chi l'abbia fatto», e immediate mette due dita nell'olio fino ai nodi. E dicono che se non ha fatto il furto, che non si scotta, e se l'ha fatto, immediate le dita se gli ardono. Danno anco il giuramento ad un altro modo, che il re manda a chiamare il reo, e se si absenta l'ha per condennato e lo fa morire, possendolo avere, senza far altra inquisizione; ma se si presenta chiamano l'accusatore, ed esamina ambidui. E l'accusator piglia un ramo piccolo d'arbore o vero erba verde, e dice: «Il tale ha fatto tal cosa», e il reo, pigliando anco egli un ramo d'arbore, dice che non è il vero. Allora il re fa portar due monete d'oro basso, che possono valere l'una da 23 maravedis, e la mette sopra una foglia, e allora li manda via, per ritornare fra otto giorni in casa del governatore a far il giuramento e provar quel che ciascuno ha detto. E cosí vanno e ritornano il dí determinato a casa del governator, dove il reo giura il modo già detto nel butiro bogliente; e compito il giuramento gli legano le dita, e tutti due sono riguardati in una casa che non possono fuggire. E il terzo giorno sligano le dita e veggono la verità, e se trovano le dita bruciate ammazzono il reo, non trovandole ammazzano l'accusatore: e se non è uomo di conto, non ammazzano l'accusatore, ma lo condannono in dan
| |
|