Il gran Can, udendo questa loro dimanda, dimostrava gran dispiacere nel volto, perciò che non voleva che questi tre latini si partissero; nondimeno, non potendo far altrimenti, consentí a quanto li richiesero: e se non era causa cosí grande e potente che l'astringesse, mai li detti latini si partivano. Per tanto fece venire alla sua presenza messer Nicolò, Maffio e Marco, e gli disse molte graziose parole dell'amor grande che gli portava, e che gli promettessero che, stati che fossero qualche tempo in terra di cristiani e a casa sua, volessero ritornare a lui. E gli fece dar una tavola d'oro, dove era scritto un comandamento, che fossero liberi e sicuri per tutto il suo paese, e che in ogni luogo fossero fatte le spese a loro e alla sua famiglia, e datagli scorta, che sicuramente potessero passare, ordinando che fossero suoi ambasciatori al papa, re di Francia, di Spagna e altri re cristiani. Poi fece preparar quattordici navi, ciascuna delle quali avea quattro arbori, e potevano navigar con nove vele, le quali come fossero fatte si potria dire, ma, per esser materia lunga, si lascia al presente. Fra le dette navi ve ne erano almanco quattro o cinque che avevano da dugentocinquanta in dugentosessanta marinari. Sopra queste navi montorno gli ambasciatori, la regina e messer Nicolò, Maffio e Marco, tolta prima licenza dal gran Can, qual gli fece dare molti rubini e altre gioie finissime e di grandissima valuta, e appresso la spesa che gli bastasse per due anni.
Costoro, avendo navigato circa tre mesi, vennero ad una isola verso mezodí nominata Iava, nella quale sono molte cose mirabili che si diranno nel processo del libro.
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