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      Quando Nestardin, ch'era capitano dell'esercito del gran Can, uomo prudente e valoroso, intese la venuta dell'oste del re di Mien e Bangala con tanto numero di genti, temette molto, perché non aveva seco piú di dodicimila uomini, ma esercitati e franchi combattitori, e il detto re n'avea sessantamila, e da circa mille elefanti tutti armati, con castelli sopra. Costui, come savio ed esperto, non mostrò paura alcuna, ma discese nel piano di Vociam e si pose alle spalle un bosco folto e forte d'altissimi arbori, con opinione che se gli elefanti venissero con tanta furia che non se li potesse resistere, di ritirarsi nel bosco e saettarli al sicuro. Però, chiamati a sé li principali dell'esercito, li confortò che non volessero esser di minor virtú di quello ch'erano stati per avanti, e che la vittoria non consisteva nella moltitudine ma nella virtú di valorosi ed esperti cavalieri, e che le genti del re di Mien e Bangala erano inesperte e non pratiche della guerra, nella qual non s'aveano trovato, come aveano fatto loro, tante volte: e però non volessero dubitare della moltitudine de' nemici, ma sperar nella perizia sua esperimentata in tante imprese, che già il nome loro era non solamente a' nemici, ma a tutto il mondo pauroso e tremendo, promettendoli ferma e indubitata vittoria.
      Saputo il re di Mien che l'oste de' Tartari era disceso al piano, subito si mosse e venne ad accamparsi vicino a quel de' Tartari un miglio, e messe le sue schiere ad ordine, ponendo nella prima fronte gli elefanti e dopo di dietro i cavalli e i fanti, ma lontani come in due ali, lasciandovi un gran spazio in mezo.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Terzo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1136

   





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