Li marinari adunque consigliatisi deliberarono slontanarsi da terra, onde, entrato l'esercito nelle navi, si allargarono in mare, e la fortuna cominciò a crescere con maggior forza, di sorte che se ne ruppero molte, e quelli che v'erano dentro, notando con pezzi di tavole, si salvorono ad una isola vicina a Zipangu quattro miglia. Le altre navi che non erano vicine, scapolate dal naufragio con li duoi baroni, avendo levati gli uomini da conto, cioè li capi de' centenari di mille e diecimila, drizzorono le vele verso la patria e al gran Can. Ma i Tartari rimasti sopra l'isola vicina (erano da circa trentamila), vedendosi senza navi e abbandonati dalli capitani, non avendo né arme da combattere né vettovaglie, credevano di dovere essere presi e morti, massimamente non vi essendo in detta isola abitazione dove potessero ripararsi. Cessata la fortuna ed essendo il mare tranquillo e in bonaccia, gli uomini della grande isola di Zipangu, con molte navi e grande esercito, andorno all'isola vicina per pigliar li Tartari che quivi s'erano salvati, e smontati delle navi si misero ad andarli a trovare con poco ordine. Ma li Tartari prudentemente si governarono, percioché l'isola era molto elevata nel mezo, e mentre che li nemici per una strada s'affrettavano di seguitarli, essi andando per un'altra circondarono a torno l'isola e pervennero a' navilii de' nemici, quali truovorno con le bandiere e abbandonati; e sopra quelli immediate montati andarono alla città maestra del signor di Zipangu, dove, vedendosi le loro bandiere, furono lasciati entrare, e quivi non trovorno altro che donne, le qual tennero per loro uso, scacciando fuori tutto il resto del popolo.
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