E mettesi questa farina in mastelli pieni d'acqua, e menasi con un bastone dentro all'acqua: allora la semola e l'altre immondizie vengono di sopra, e la pura farina va al fondo. Fatto questo si getta via l'acqua, e la farina purgata e mondata che rimane s'adopra, e si fanno di quella lasagne e diverse vivande di pasta, delle qual ne ha mangiato piú volte il detto messer Marco, e ne portò seco alcune a Venezia, qual è come il pane d'orzo e di quel sapore. Il legno di quest'arbore l'assomigliano al ferro, perché gettato in acqua si sommerge immediate, e si può sfendere per dritta linea da un capo all'altro come la canna, perché, quando s'ha cavata la farina, il legno, come s'è detto, riman grosso per tre dita: del quale quelle genti fanno lancie picciole e non longhe, perché se fossero longhe niuno le potria portare, non ch'adoperarle, per il troppo gran peso; e le aguzzano da un capo, qual poi abbruciano, e cosí preparate sono atte a passare ciascun'armatura, e molto meglio che se fossero di ferro. Or abbiamo detto di questo regno, qual è delle parti di quest'isola. Degli altri regni che sono nell'altre parti non diremo, perché il detto messer Marco non vi fu, e però, procedendo piú oltre, diremo d'una picciola isola nominata Nocueran.
Dell'isola di Nocueran.
Cap. 17.
Partendosi dalla Giava e dal regno di Lambri, poi che s'ha navigato da circa centocinquanta miglia verso tramontana, si truovano due isole, una delle quali si chiama Nocueran e l'altra Angaman. E in questa di Nocueran non è re, e quelle genti sono come bestie, e tutti, cosí maschi come femine, vanno nudi e non cuoprono parte alcuna della loro persona; e adorano gl'idoli.
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