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      La notte seguente Cangio Can, fuggendo per alcuni luoghi fuor di strada, andò a truovare i suoi; a' quali avendo narrato per ordine ciò che gli era accaduto, i Tartari allora riferirono grazie infinite a Dio immortale, poi che gli era piacciuto (mediante tal uccello) scapolar dalla morte il loro imperatore. Il qual uccello fu dopo tra' Tartari in tanta reverenza che qualunque può avere una delle sue penne si reputa felice e beato, portandole sopra la testa con gran venerazione. Mi è parso a proposito dire questo, acciò si sappia la cagione per la qual i Tartari portano sopra la testa le penne dell'allocco. L'imperatore Can rendette grazie a Dio dell'averlo da cosí gran pericolo liberato e raccolto. L'oste suo assaltò di nuovo i nemici, e valentemente combattendo gli messe sotto il suo imperio, e cosí Cangio Can rimase signore di tutte le terre che sono vicine al monte Belgian, e quivi tenne il suo imperio senz'alcuno impedimento, fintanto ch'esso vidde un'altra visione, come di sotto si dirà. Né si deve maravigliare alcuno se in quest'istorie non viene messo il tempo: avvenga che da molti l'addomandasse, non potei però mai trovare alcuno che me lo sapesse dire. Ed è cosa verisimile che 'l tempo non si sappia, percioché nel loro principio i Tartari non aveano lettere, e passando i fatti di quelli senza ch'alcuno li scrivesse, sono dopo andati in oblivione.
     
     
      Della seconda visione ch'ebbe Cangio Can, per la quale uscí del suo paese, e dell'adorazioni che fece per numero novenario appresso il mare per aver il passaggio; e come dopo s'ammalò, e degli ammaestramenti ch'esso diede a dodici suoi figliuoli prima che lui morisse; e la causa per la quale i Tartari hanno in somma reverenzia il numero novenario.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Terzo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1136

   





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