Di cervi e altre salvaticine si può considerare quanto era il numero, ma queste non venivano appresso alla Tana.
Dalla pianura ch'occupava questa gente si potria far una descrizione del numero di grosso quanti ch'erano: che, a un luogo detto Bosagaz, dov'era una mia peschiera, dopo andato giú il ghiaccio andando con una barca (il qual luogo era lontano dalla Tana circa 40 miglia), ritrovai li pescatori, li quali dissero aver pescato l'invernata e aver salate di molte morone e caviari, e ch'alcuni di questo popolo erano stati lí e avevano tolto tutti li pesci, salati e non salati (de' quali alcuni erano che tra noi non si mangiano), per insino alle teste, e tutti li caviari e tutto il sale, il qual è grosso come quello da Gieviza, in modo che per maraviglia non s'aveva potuto ritrovare un grano di sale; delle botti etiam aveano tolte le doghe, forse per acconciar li suoi carri; oltre di questo tre macinette ch'erano lí da macinar sale, ch'aveano un ferretto in mezo, ruppero per torre quel poco di ferro. Quello che fu fatto a me fu fatto da per tutto ad ognuno, in tanto che a Giovanni da Valle (il qual ancora aveva una peschiera, e intendendo la venuta di questo signore aveva fatto fare una gran fossa, e messo da circa trenta carratelli di caviaro in essa, e l'avea coperta di terreno, sopra il quale poi, aciò che non se n'avvedessero, aveva fatto arder legne) trovarono le scosagne e non gli lasciarono cosa alcuna. In questo popolo sono innumerabili carri da due rote, piú alte delle nostre, li quali sono affelciati di stuore di canne, e parte coperti con feltre, parte con panni, quando sono di persone da conto.
| |
Tana Bosagaz Tana Gieviza Giovanni Valle
|