Il re di questa provincia si chiama Pancrazio: ha bel paese, e fertile di pane, di vino, di carne, di biade e d'altri frutti assai. Fassi gran parte di vini sugli arbori, come in Trabisonda. Gli uomini sono belli e grandi, ma hanno sozzissimi abiti e costumi vilissimi. Vanno tosi e rasi il capo, salvo che intorno lassano un poco di capelli, a similitudine di questi nostri abbati, che hanno buona entrata; portano mustacchi, ai quali si lasciano crescer li peli sotto la barba, a lunghezza di una quarta d'un braccio. In capo portano una berrettuzza di diversi colori, in cima della quale è una cresta; in dosso portano giubbe assai lunghe, ma strette e fesse di dietro infino alle natiche, imperoché altramente non potriano montare a cavallo: nella qual cosa non li biasimo, perché vedo che ancora i Francesi l'usano. In piedi e gambe portano stivali, i quali hanno la suola fatta in modo che, quando stanno in piedi, la punta e il calcagno toccano in terra, ma in mezo sono tanto alti da terra che si potria cacciare il pugno per sotto la pianta senza farsi male: e di qui viene che, quando caminano a piedi, caminano con fatica; gli biasmaria in questa parte, se non fusse che io so che ancora li Persiani l'usano.
Circa il mangiare, secondo che io ho veduto a casa di uno delli principali, servano questo modo: hanno certe tavole quadre circa mezo braccio, con un orlo cavato intorno; in mezo di queste mettono una quantità di paniccio cotto senza sale e senza altro grasso, e questo scusa in luogo di minestra; in un'altra simil tavola mettono carne di cinghiaro brustolata, e tanto poco arrostita che, quando la tagliavano, sanguinava: essi mangiavano di buona voglia, io non ne poteva gustare, e però me ne andava fingendo di mangiar con quel paniccio; del vino ne era abbondanzia, e andava intorno alla polita; altra sorte di vivande non avemmo.
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